Quelle che seguono sono le testimonianze di chi, quel 07 gennaio 2005, si recò sul luogo dell’incidente tra il treno interregionale IR 2255, proveniente da Verona e diretto a Bologna, che trasportava circa 200 passeggeri, all’altezza della ex stazione di Bolognina di Crevalcore (Bologna), si scontrò frontalmente con il treno merci 59308 proveniente da Roma che procedeva in senso contrario, in un tratto che all’epoca era a semplice binario. A seguito dell’impatto, la locomotiva del treno merci, la semipilota e la seconda carrozza passeggeri del treno interregionale furono completamente sventrate e distrutte. L’incidente provocò la morte di 17 persone, tra cui i macchinisti dei due treni; molte altre rimasero ferite nello scontro. Le operazioni di soccorso durarono fino al mattino seguente.
I racconti:
Il 7 gennaio 2005 per me e per tanti è una data difficile da dimenticare.
Tutto inizia con un normalissimo turno di mattina in estemporanea con il collega Pozzi Giancarlo sull’India 2.
Al rientro in sede noi, e altri equipaggi, veniamo fermati dal capoturno perché, forse, dovevamo tornare fuori in servizio…e da lì a poco arriva la telefonata di conferma: tutti i mezzi disponibili, e reperibili, dovevano recarsi a Crevalcore per un incidente ferroviario.
In poco tempo riempiamo il mezzo con tutti i presidi disponibili: garze, ghiaccio istantaneo, bombolini di ossigeno portatili, maschere per l’ossigeno, metalline, ecc. ecc. e partiamo con prima tappa eliporto dell’ospedale Maggiore per recuperare l’equipaggio dell’Elipavullo.
La strada è lunga ma quel giorno sembrava ancora più lunga e la fitta nebbia non aiutava. E nella testa in quei momenti ti girano tanti pensieri avvolti in un silenzio rotto solo dalla sirena dell’ambulanza.
Finalmente arriviamo sul posto…ma le difficoltà sono appena iniziate.
Per arrivare sul luogo dell’incidente dovevamo percorrere circa 500 metri affiancando su un lato i binari e dall’altro i campi agricoli, in mezzo ad un terreno melmoso dove i passi sprofondavano continuamente.
In quel silenzio ovattato dalla nebbia cominciammo ad intravedere la “piramide” di lamiere dei due convogli, e tutt’intorno già altri colleghi, con i pompieri, al lavoro come formiche in un formicaio.
Iniziamo ad organizzarci con i colleghi, con il personale medico ed infermieristico e con i pompieri creando un primo punto di triage e a fianco una zona di ricovero per i passeggeri del convoglio deceduti. Il mio collega, intanto, va a parlare con alcuni agricoltori avvicinatosi al luogo, incuriositi e li manda a prendere i loro trattori con catene o corde in grado di agganciare le ambulanze e trainarle in mezzo al quel percorso impantanato nel caso ci fossero pazienti da trasportare.
Intanto le ore passano il buio aumenta e il freddo comincia a farsi ancora più insidioso di quanto già lo fosse ma nessuno di noi si ferma e ognuno fa qualcosa… e inizia a girare una voce… stanno tentando di estrarre un passeggero vivo, incastrato in mezzo a tutte le lamiere. Notizia che da un po’ di conforto a tutti noi ormai rassegnati ad un conteggio continuo di vittime che sembrava non fermarsi.
Il mio collega, nel frattempo era riuscito a portare l’ambulanza fino al punto di triage, e iniziammo a prepararci per il recupero ed il caricamento del passeggero incastrato.
Ed eccolo, finalmente! Sono riusciti ad estricarlo e con un passamano, arriva fino sulla nostra barella. Incredibilmente sta bene anche se ha tutte e due le gambe fratturate.
Recuperiamo il nostro materiale, l’equipaggio dell’Elipavullo e partiamo per l’ospedale di Modena. Durante il tragitto ricordo che questa persona cercava di sdrammatizzare la sua vicenda sicuramente per scaricare tutta la tensione, l’ansia e la preoccupazione di quelle ore trascorse intrappolato in mezzo alle lamiere e probabilmente anche per cercare di strapparci un sorriso, sui nostri visi ormai esausti e infreddoliti, cosa purtroppo non concessa per quel giorno…
E in tarda serata si rientra a casa, ma con il pensiero a chi è ancora là a lavorare e a chi purtroppo a casa non tornerà più.
Stefano TrombettiCerte esperienze ti rimangono attaccate alla pelle nonostante anni e anni di emergenza sulle spalle.
A quel tempo la Croce Italia era visitata ogni giorno da centinaia di persone tra dipendenti Catis e volontari, si potevano fare equipaggi misti e probabilmente visto il mio lavoro notturno, se non fosse stato così non avrei potuto dedicare tutto quel tempo.
Ero solito passare ogni giorno a prendere il caffè in Sede a qualsiasi ora del giorno e della notte e feci così pure quella volta. Coordinava i turni Robby (Roberto Bariletti n.d.r.) e in sede c’era pure ToroSan (così chiamavamamo Nicola Santoro) ed era l’ora del cambio turno. È arrivata un chiamata dalla Centrale Operativa … SEMBRA SI SIANO SCONTRATI DUE TRENI, COME SIETE MESSI AD AMBULANZE?
Il tempo a volte è gentiluomo, io e Santoro pronti subito e via via altri dipendenti subito pronti rinunciando allo smonto: 3 minuti, 5 ambulanze.
Noi avevamo la CATIS 19 l’unica ambulanza pediatrica, prendiamo questa perché non si sa mai che cosa possa servire …Partiamo, corteo di sirene in tangenziale, poi sulla Persicetana le macchine che si fermavano e non capivano … la gente che guardava e immaginava … e sì, era una catastrofe .
In mezzo alla nebbia le ambulanze vengono messe in un prato perché c è troppo fango… un contadino col trattore si mette li … ricordo le parole TRANQUI RAGAZUL AI SON QUA ME CAV TIRA FORA DALLA SBAGIUZZA. Tempo 3 minuti e india 2 carica con codice 2 per Modena … piantata … quel contadino se la prende sulle spalle e corda e gas, la libera subito per poi tornare ad aspettarci.
Lo scenario era da The Day After Tomorrow: lamiere ovunque una carrozza che puntava al cielo come se fosse la rampa di lancio per quelle povere anime che avevano finito la loro corsa sulla terra.
Divise ben organizzate e sparse ovunque. Punti PMA ovunque
Era un gran freddo nell’ aria ma avevamo tutti caldo … io mi rivedo nelle foto sul giornale con jeans e felpa …
Le emozioni fino a sera non si possono spiegare, nemmeno scrivere …Passano ore, la situazione è chiara ci vuole tempo. Arrivano altre ambulanze verso sera, così dopo ore e ore e recupero io e Nicola prendiamo la via di Bologna. Io dovevo andare al lavoro e lui a letto perché il giorno dopo doveva lavorare.
Ci salutiamo e sistema lui l’ambulanza lasciandomi il tempo di raggiungere casa farmi la doccia e andare a stampare ciò che avevo fatto nel pomeriggio.
L’acqua ha portato via il freddo e il fango dalla pelle, ma nella mente, quello no…
Quello è stata la mia prima maxi emergenza e, come il primo BLS, non lo dimenticherò mai.
Devis Bonazzi
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